
So che dei rapporti di fine anno ne avevamo già parlato la settimana scorsa, ma in questi giorni ho letto con attenzione il report del CNAS uscito di recente e credo sia importante evidenziarlo.
Il Center for a New American Security è un influente think tank a Washington DC. È bi-partisan, si occupa prevalentemente di sicurezza nazionale, terrorismo, guerra asimmetrica. È piccolo, ma i suoi report arrivano sulle scrivanie che contano. Lo seguo da anni per via del suo focus sulle nuove tecnologie (si occupa spesso di difesa cibernetica) quindi la sua recente presa di posizione sull’intelligenza artificiale non stupisce. Il titolo poi è tutto un programma: The American AI Century: A Blueprint for Action (qui in versione pdf)
Nonostante il titolo baldanzoso il rapporto non lesina critiche all’attuale situazione americana per quanto concerne lo sviluppo e la gestione delle tecnologie di intelligenza artificiale. Altri Paesi, Cina in testa, sono pronti a fare di tutto pur di ottenere la leadership nell’AI, per questo motivo agli Stati Uniti viene chiesto uno sforzo paragonabile a quello fatto per la corsa allo spazio, dove tutto il Paese – nessuno escluso – dovrà spingere per conquistare e mantenere una supremazia incontrastata.
I problemi evidenziati dal rapporto sono principalmente i seguenti:
I fondi non sono sufficienti. Il budget del Governo USA per l’AI è di quasi 1 miliardo di dollari per il 2020 (qui c’è il budget R&D ufficiale e qui trovate l’addendum per la ricerca tecnologica), ma secondo il CNAS solo di fondi pubblici servono almeno 25 miliardi di dollari in cinque anni. Bisogna inoltre stimolare gli investimenti privati con incentivi fiscali.
Serve immigrazione qualificata. Gli Stati Uniti hanno bisogno di colmare il gap nella forza lavoro qualificata consentendo l’entrata di più stranieri esperti di AI. Il think tank chiede in maniera specifica al Department of Labor di inserire le competenze AI fra quelle che consentono l’entrata sforando i limiti dei “flussi” (la nota Appendice A), forte anche di una ricerca che ha dimostrato come più della metà dei migliori ricercatori USA siano immigrati.
L’America è vulnerabile al furto di know-how. La libertà e l’apertura del Paese verso imprenditori e ricercatori stranieri è anche il suo tallone di Achille. Il documento è particolarmente critico verso la Cina, chiedendo al Governo USA di creare accordi con i Paesi alleati per limitare l’export di conoscenze e materiali specifici per l’intelligenza artificiale verso Pechino. L’hardware ottiene particolare attenzione, poiché la Cina finora non è riuscita a creare una filiera per la produzione di semiconduttori specifici per l’AI (ne parlavo in questo articolo di ottobre) e l’hardware ottimizzato per il deep learning inizia a essere una condizione essenziale per spingere in avanti la ricerca (la ricerca avanzata richiede sempre più risorse computazionali, quindi per stare al passo con le esigenze del settore i produttori devono rilasciare chip ottimizzati per l’AI che in certi casi riducono drasticamente i tempi di esecuzione).
Il documento prosegue con suggerimenti per l’inserimento delle discipline tecnologiche e dell’intelligenza artificiale nella scuola dell’obbligo e l’adozione di attività di horizon scanning: un controllo costante di quello che succede nell’industria e nel mondo accademico per evitare quelle che vengono definite “sorprese tecnologiche”. O, continuando con l’esempio spaziale di inizio articolo, per evitare a tutti i costi uno “Sputnik moment” come quello che negli anni cinquanta atterrì gli americani: scoprire che una potenza straniera in un settore chiave è più avanti degli USA. La Cina ha già dichiarato che entro il 2030 sarà il Paese leader nell’intelligenza artificiale, e questo gli Stati Uniti non possono permetterlo.
Link: The American AI Century: A Blueprint for Action