
Sempre più spesso ci troviamo a dover scegliere fra tutelare la nostra privacy e guadagnare un qualche tipo di comodità o vantaggio. Per fare un esempio, vale la pena consentire a N organizzazioni di acquisire e gestire i nostri dati biometrici, se grazie a questo riusciamo a passare più facilmente un checkpoint?
Ce lo saremo chiesti in aeroporto, quando passiamo il controllo passaporti automatizzato, e se lo saranno chiesto i quasi 100.000 lavoratori palestinesi che ogni giorno devono passare i checkpoint israeliani per andare a lavorare in Cisgiordania e nella striscia di Gaza.
Fino a poco tempo fa bisognava aspettare anche fino a due ore, ogni volta, prima di poter passare. Oggi invece nei checkpoint equipaggiati con il riconoscimento facciale è sufficiente poggiare il documento su uno scanner e guardare dritti in una telecamera. Il sistema di riconoscimento facciale identificherà la persona, controllerà se vi sia un permesso di lavoro valido e deciderà se farla passare o meno.
L’azienda che detiene la tecnologia (che vanta un tasso di successo del 99,9%) è stata accusata di tracciare il personale palestinese per conto dell’esercito israeliano. L’azienda ha negato di usare i dati per scopi illegali, ma sono in molti a credere che il tracciamento dei Palestinesi sia un importante valore aggiunto per le forze di sicurezza israeliane, che grazie alle nuove carte di identità elettroniche possiedono già di dati biometrici di oltre 450.000 individui (su 2,7 milioni di Palestinesi in Cisgiordania).