Perché dovremmo insegnare subito l’intelligenza artificiale nelle scuole

Partiamo da una notizia importante. L’Association for the Advancement of Artificial Intelligence (AAAI) e la Computer Science Teachers Association (CSTA) stanno lanciando negli Stati Uniti il progetto AI4K12, che mira a sviluppare linee guida comuni per insegnare l’intelligenza artificiale agli studenti della scuola dell’obbligo (K-12).

L’iniziativa è tuttora in fase di sviluppo: partita nel Maggio del 2018, si sta concretizzando attraverso incontri e tavole rotonde, mailing list ed eventi pubblici. Allo stato attuale il progetto ha prodotto uno schema basato sulle “cinque grandi idee nell’AI” (qui il pdf), linee guida che saranno impartite nelle scuole americane seguendo standard simili a quelli già usati per l’informatica.

Queste cinque grandi idee sono:

    1. La percezione
      Insegnare che i computer percepiscono il mondo attraverso dei sensori, estraendo così significato da segnali sensoriali.
    2. Rappresentazione e Ragionamento
      Il mondo circostante viene ricostruito internamente attraverso delle rappresentazioni (cosa che fra l’altro fanno anche gli umani) che sono poi oggetto di analisi da parte di appositi algoritmi, per arrivare a ragionamenti anche complessi.
    3. Imparare
      Capire come impara l’AI. Comprendere che il machine learning trova sequenze nei dati, aiutando il sistema a trovare nuove rappresentazioni.
    4. L’interazione naturale
      Per essere in grado di interagire con gli esseri umani i sistemi AI devono possedere numerose competenze, come la conversazione, riconoscere le emozioni, comprendere la cultura, le convenzioni sociali, ecc.
    5. L’impatto sociale
      L’intelligenza artificiale avrà conseguenze sia positive sia negative per la società, cambiando il modo con cui lavoriamo, comunichiamo, viaggiamo. Sarà importante comprendere e discutere anche dei suoi lati negativi, come ad esempio il bias, analizzando l’impatto dell’AI anche sul piano etico.

L’ultimo punto riassume in sostanza i motivi dietro questa iniziativa. L’intelligenza artificiale sarà sempre più presente nelle nostre vite e influenzerà in particolar modo il futuro di chi oggi frequenta la scuola dell’obbligo. Avere una popolazione informata, che capisce cos’è e come funziona l’intelligenza artificiale – anche senza possedere competenze tecniche – porterà vantaggi condivisi e porrà le basi per un uso più cosciente di queste dirompenti tecnologie, inclusa una solida consapevolezza dei rischi.

Ma gli Stati Uniti non sono gli unici a sentire l’urgenza di formare in massa i propri cittadini sulle tecnologie AI. Già da tempo la Finlandia ha fatto partire un ambizioso progetto per istruire più cittadini possibili al funzionamento dei sistemi di intelligenza artificiale con Elements of AI, mentre ovviamente la Cina non sta certo a guardare: nel 2018 è balzata al secondo posto – dopo gli USA – per investimenti nell’insegnamento dell’AI nelle scuole, e anche grazie a queste attenzioni oggi l’uso dell’intelligenza artificiale inizia a coinvolgere tutti i 276 milioni di studenti cinesi nelle 518.900 scuole del Paese.

E l’Italia che fa? In giro si trovano lodevoli iniziative, come ad esempio gli hub in 37 scuole promossi da Microsoft, ma niente di così pervasivo e totale come i progetti di cui sopra.

Del resto anche il gruppo di esperti AI del MISE, nel suo elenco di proposte (pdf), fa notare che “[…] i corsi sulle competenze digitali nella scuola primaria e secondaria sono carenti se non completamente assenti“, citando un rapporto dell’OSCE (pdf) che vede l’Italia agli ultimissimi posti in tutti gli indicatori presi in esame.

Il documento prosegue poi con quello che condensa al meglio quanto ho scritto finora: “Oltre ad essere una disciplina, l’AI dovrebbe essere adottata come metodo educativo in grado di portare alla formazione del cosiddetto pensiero computazionale, alla multidisciplinarità intrinseca nella soluzione di problemi e nella trasversalità delle competenze. È pertanto necessario definire una strategia che crei opportunità di apprendimento inclusive, prevedendo come sfera di influenza l’intero ciclo formativo.

Come sempre il problema nasce quando si parla di soldi, che sembra vengono spesi solo per far fronte alle emergenze e mai per gli investimenti a lungo termine. D’altronde è la stessa Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale (AI*IA) che osserva come gli investimenti italiani nell’AI siano del tutto insufficienti, cosa che rischia di rendere anche i buoni propositi del libro bianco (pdf) dell’AGID, che considera la scuola come uno degli ecosistemi per lo sviluppo dell’intelligenza artificiale, lettera morta.

Se le cose resteranno così vedremo uno sviluppo a macchia di leopardo, con alcuni immancabili centri di eccellenza, altri istituti che cercheranno almeno di fare il minimo sindacale, e tutte le altre scuole perennemente in ritardo con il resto del mondo.

Mi occupo da molti anni di intelligenza artificiale. Dopo la laurea in Management ho conseguito una specializzazione in Business Analytics a Wharton, una certificazione Artificial Intelligence Professional da IBM e una sul machine learning da Google Cloud. Ho trascorso la maggior parte della carriera – trent'anni - nel settore della cybersecurity, dove fra le altre cose sono stato consigliere del Ministro delle Comunicazioni e consulente di Telespazio (gruppo Leonardo). Oggi mi occupo prevalentemente di intelligenza artificiale, con consulenze sull'AI presso aziende private e per la Commissione Europea, dove collaboro con la European Defence Agency e il Joint Research Centre. Questo blog è personale e le opinioni espresse appartengono ai singoli autori.